L’incendio scoppiato a Roma il 18 luglio 64 d.C. è ricordato comunemente come l’incendio fatto scoppiare da Nerone. Gli storici moderni, però, stanno rivalutando la figura di Nerone in questo contesto.
All’epoca, Roma era una città sovraffollata, suddivisa in 14 quartieri. La maggior parte degli imponenti edifici a più piani aveva sovrastrutture in legno. Le strade erano strette, la distanza tra edifici era minima e spesso i muri erano comunicanti. In più, in case in cui la maggior parte delle suppellettili erano di legno, il sistema di riscaldamento e di cottura dei cibi consisteva in fuochi vivi. La città disponeva di un corpo militare apposito, la cohors vigilum, che si occupava di proteggere la città dagli incendi e della sicurezza notturna nelle strade. Per combattere il fuoco disponevano di coperte bagnate, di pompe a sifone, collegate a tubature di cuoio e di secchi da riempire d’acqua e passare di mano in mano.
Le fonti antiche ci dicono poco sull’origine esatta dell’incendio, che durò per ben nove giorni senza poter essere fermato e distrusse dieci dei quattordici quartieri, e tendono ad accusare apertamente l’imperatore e il suo bisogno di ricostruire la città secondo il proprio piano urbanistico. Con ogni probabilità, invece, l’incendio scoppiò a causa delle pessime condizioni di sicurezza in cui versavano gli edifici. Si riuscì a fermare l’avanzata del fronte del fuoco solo quando, dopo sei giorni, vennero abbattuti dei magazzini alle pendici del colle Esquilino, togliendo così il combustibile alle fiamme. Ma il fuoco non si fermò: altri focolai scoppiarono in punti diversi della città, che continuò a bruciare per altri tre giorni.
Una delle prove che viene fornita per il dolo in questo caso è il fatto che il fuoco si sia propagato nonostante in quei giorni non soffiasse vento, e che, nonostante sembrasse domato, l’incendio sia riscoppiato in punti più lontani. Gli studi moderni condotti su grandi incendi, però, hanno dimostrato come sia possibile che il fuoco si possa propagare sotto la superficie, andando a rinfocolarsi anche quando sembra spento. Inoltre, un’enorme combustione non richiede l’ausilio del vento per espandersi velocemente.
Dopo l’incendio
Dieci quartieri su quattordici rasi al suolo, edifici pubblici completamente consumati, opere d’arte e letterarie andate perdute: questo il bilancio finale. Nerone decise di far ricostruire Roma secondo un piano urbanistico più funzionale, ricreando delle strade ampie, vietando contatti diretti tra i vari edifici che non potevano superare comunque il secondo piano, sarebbero stati costruiti in pietra refrattaria al fuoco e avrebbero avuto dei larghi cortili all’interno. L’eliminazione delle macerie sarebbe stata inoltre a spese dell’imperatore. Questo non bastò a quietare le accuse nei suoi confronti, soprattutto da parte della classe aristocratica da sempre avversa all’impero. Nerone trovò quindi un facile capro espiatorio in quella che allora era considerata una setta estremista giudaica, all’epoca invisi ai cittadini romani: i primi cristiani. Anche questo, però, non bastò a far cessare il malcontento, dato che la repressione nei confronti dei cristiani fu talmente feroce da suscitare pietà in chi osservava.